Terza (e ultima, ahimè) parte del diario di viaggio di Lorenzo e Matteo. La loro esperienza è conclusa, ma siamo sicuri che sono solo i primi gradini di una scala che li porterà molto lontano.
[…] Con Jim Rivard passiamo le giornate a vedere trattamenti manuali seguiti da esercizi dosati sul paziente in palestra, ci alleniamo al ragionamento che porta a proporre un esercizio. Ci sprona continuamente nel riflettere sull’obiettivo dell’esercizio che proponiamo, come farlo eseguire, quale attrezzatura utilizzare, come predisporre il setting (tessuto bersaglio, posizione del paziente, linee di forza applicate, ripetizioni, serie, durata del riposo, funzionalità dell’esercizio per il paziente, etc.).
Continuiamo a meravigliarci come il presidente dell’Accademia Americana di Terapia Manuale Ortopedica fondi l’80% del lavoro del paziente sull’esercizio. In realtà siamo consapevoli dell’utilità di questo tipo di approccio ma ci ripetiamo più volte come in Italia sia travisato il concetto di Terapia Manuale. Normalmente siamo abituati a vedere colleghi Fisioterapisti, piuttosto che Osteopati o Chiropratici, che fondano il loro trattamento “specialistico” su manovre di mobilizzazione, qualche Trust e il gioco è fatto. Peccato che ormai sappiamo (grazie alle recenti acquisizioni della ricerca) che questa strategia è ottima nella gestione del problema a breve termine ma che non può essere considerata come un percorso di cura completo. D’altro canto sappiamo che l’esercizio dosato è la modalità di trattamento elettiva per ottenere e mantenere risultati a lungo termine.
Insomma, come vediamo fare qui, la mobilizzazione/manipolazione articolare seguita da esercizio specifico dosato sul paziente a logica sembra una combinazione vincente. Il tutto amalgamato dal ragionamento clinico approfondito, dalla conoscenza di cosa siano i fattori psico-sociali e le conseguenti bandiere. Senza dimenticare le differenti modalità di approccio in base alla persona, ai meccanismi di dolore presenti, alle necessità funzionali. Insomma, una ricetta perfetta di trattamento e cura che si fonda sul ragionamento specialistico.
Tra clinica, ristoranti e pub passiamo questi giorni con Jim, confrontandoci sugli approcci, confrontando la fisioterapia e la terapia manuale in America e quella insegnata in Italia, valutiamo la possibilità di future collaborazioni. Parliamo di politica, di sport, mangiamo street food e beviamo tea dopo cena. Anche nel suo caso, come già con Brian, troviamo un insegnate, un amico, una persona disposta a darci consigli e ad orientare i nostri pensieri per il futuro mentre facciamo due risate.
L’ultimo giorno come sempre rimane il momento più nostalgico.
In clinica c’è un’atmosfera molto tranquilla, cerchiamo di approfittarne per fare le ultime domande, loro approfittano per darci gli ultimi consigli. Il pomeriggio passa Brian per fare una review approfondita sulle manipolazioni periferiche, inaspettatamente arrivano anche altri colleghi delle MTI Physical Therapy che ne approfittano per condividere con noi l’approfondimento.
Alle 18 concludiamo, è finita questa nostra esperienza.
Rimane solo il tempo di una fantastica cena con Brian, Jim, la moglie di Jim e la suocera; insomma, come si suol dire una cena in famiglia, a base di risate, confronti, consigli, pareri. Al termine della cena ci diamo appuntamento per l’indomani mattina, sabato 25 marzo, per colazione; poi ci accompagnano in aeroporto, ci salutiamo e iniziamo il ritorno verso casa.
E’ quindi il momento di tirare un po’ le somme di questa nostra esperienza.
Torniamo a casa con un bagaglio molto più pesante di quello con cui siamo partiti. In queste due settimane abbiamo avuto conferme ma abbiamo anche avuto la possibilità di imparare, di perfezionarci, di approfondire tutto ciò che, in fin dei conti, diventa la nostra clinica quotidiana. Abbiamo trovato due nuovi Amici, persone che fino a due settimane fa erano solo nostri insegnanti. Abbiamo capito che può esserci un modo diverso di affrontare la riabilitazione, molto più completo e mirato rispetto alle modalità a cui siamo abituati in Italia. Abbiamo visto un sistema in cui i “concorrenti” (i diversi gruppi di formazione) collaborano all’interno di un’Accademia Nazionale e ciò ha permesso, a livello sociale, l’affermazione di un riconoscimento professionale e specialistico molto importante.
Insomma, stiamo parlando di una realtà molto diversa, rispetto a quella Italiana, dalla quale potremmo (e dovremmo) prendere spunto per un miglioramento generale del mondo riabilitativo, sia dal punto di vista dei pazienti sia da quello dei professionisti. Basterebbe solo iniziare a studiare anzichè dispensare “pillole”, confrontarsi con gli specialisti anzichè scontrarsi sui social, specializzarsi con formazioni certificate (purtroppo costose) anzichè “risparmiare” (leggi “buttare via i soldi”) con corsi nei quali non è presente un minimo di razionale scientifico; perchè, alla fine, la nostra rimane una professione scientifica e tale dovrebbe essere il nostro approccio alla cura della persona.
Matteo Cappelletti
Lorenzo Nobile