Ci sono tante di quelle cose sbagliate in queste immagini che non so neanche da che parte cominciare.
Non so se cominciare dalla foto e provare a spiegare che è ormai sdoganato da anni e anni di ricerca il fatto che questo esercizio non solo non sia utile, ma sia anche dannoso per il recupero di una disfunzione di spalla. Si tratta di un approccio talmente superato, da “età della pietra” per intenderci, da farmi sentire in imbarazzo al solo pensiero che ci siano colleghi che ancora lo propongono. E non si dica che la foto è stata messa per proporre un esercizio valido perché impregnato di chissà quale e quanta EBM, perché altrimenti sarebbe stato il soggetto del post, non lo strumento in sé.
Non so se cominciare dal fatto che esistono anche dei commenti a questo genere di post, mentre logica vorrebbe che si dovrebbe creare una specie di “embargo” nei confronti di fisioterapisti così non al passo coi tempi, così non aggiornati sulle evidence scientifiche e così menefreghisti nei confronti di ciò che il progresso e la ricerca ha portato alla nostra professione.
Non so se cominciare dai commenti. E se cominciassi dai commenti, per un assurdo gioco di parole, non saprei nemmeno da che parte cominciare. Santo cielo, quei commenti!
Lidl, Tiger… seriamente?!
Davvero ci siamo ridotti a questo? Davvero la natura sanitaria della nostra professione non ci suggerisce che il prerequisito della certificazione medica degli strumenti utilizzati sia quantomeno saggio, poiché sottoposti a importanti processi di validazione e verifica per quanto riguarda sicurezza e funzionalità?
Tremo di rabbia e di terrore al pensiero che “là fuori” esistano pazienti che si trovino ad incappare in così tanta superficialità.
Ma davvero con tutto il panorama formativo presente sul territorio (che è incredibilmente ampio, perfino troppo), questi colleghi non sono stati in grado, non dico di mettersi alla pari con le evidence scientifiche, ma almeno di evolvere un pochino?
Leggere certi commenti, vedere certe foto, seguire certi post ci frustra nel profondo.
Forse siamo noi a sbagliare, forse siamo noi a pretendere troppo da noi stessi e dalla nostra professione. Forse l’errore è nostro che ci ammazziamo di lavoro durante la settimana in clinica e durante i weekend nei corsi di formazione con l’obiettivo di fornire la miglior Fisioterapia possibile ai nostri pazienti.
Forse sbagliamo noi che ci impegniamo da anni e impegniamo da anni il nostro tempo libero cercando di inseguire il sogno di una Fisioterapia che valga, rispettabile e rispettata.
Forse esageriamo noi a pretendere che ogni tecnica che utilizziamo sia il più affidabile possibile e che ogni strumento che si trova nei nostri studi, ogni macchina presente nelle nostre palestre sia il meglio di ciò che possiamo offrire.
Forse non dovremmo investire tante energie nel tentativo di perseguire l’etica, costi quello che costi.
E a proposito di costi e di Facebook Based Medicine.
È solo di qualche settimana fa una polemica social in cui siamo stati coinvolti.
Sotto a un post in cui davamo notizia di un nostro corso sono comparsi commenti in cui veniva definito “caro” il costo di iscrizione.
In questo corso insegna un medico ricercatore italiano, autore di oltre 100 articoli pubblicati su riviste scientifiche, un’autorità in ambito mondiale. Invitato fisso nei più importanti eventi del settore in tema di “Neuroscienze”, divulgatore sui più svariati media, protagonista indiscusso dei più influenti contesti internazionali, che siano essi convegni o programmi televisivi. Stiamo parlando di Fabrizio Benedetti. Googlate per cortesia.
Due giorni di corso. Costo di iscrizione: 450 euro.
Potremmo perderci nei paragoni, ma diciamo, per non offendere nessuno, assolutamente nella media della stragrande maggioranza dei corsi di aggiornamento in fisioterapia. A fronte della massima qualità possibile.
Non ci sono spiegazioni da dare da parte nostra. Non ha neanche senso con queste persone parlare di entrate, uscite, costi, fee, affitti, competenza, organizzazione, spese di segreteria, persone coinvolte, rapporto qualità/prezzo, tempo.
Ma soprattutto, è chiaro che non sono persone abituate a dare il giusto peso alle cose, che non sanno cosa voglia dire qualità, che non sanno cosa voglia dire formarsi, che non sanno cosa voglia dire professionalità, che non sanno cosa significhi lo sforzo di capire e inglobare il paziente in un progetto a 360 gradi, che non sanno il significato del verbo “guarire” una persona.
Per onore di cronaca, abbiamo ricevuto diversi attestati di solidarietà da parte di Colleghi che condividono la nostra visione (non perché nostra, ma perché la migliore perseguibile).
Come diceva qualcuno:
“If I had to explain, you’ll never understand”.
Ma nemmeno noi capiamo, a un certo punto.
Tante volte ci troviamo a chiederci, di base, “chi ce lo fa fare”, visto che comunque, checchè se ne dica, la villa sul lago di Como non è ancora nelle nostre corde.
Tante volte proviamo a immedesimarci in tanti colleghi “famosi del web”, in tanti “fornitori di formazione” che magari hanno più successo di noi e ci chiediamo perchè non potremmo anche noi concederci, una volta ogni tanto, una scorciatoia. Tutta questa fatica a cercare di imparare, di insegnare, di creare movimento attorno a un’idea. Tutta questa fatica nella ricerca continua della massima affidabilità (reliability) possibile nei confronti dei nostri pazienti. E, infine, tutta questa fatica nel non scendere mai a compromessi, nell’essere integerrimi. Ne vale veramente la pena? Sono momenti che durano molto poco poi in realtà.
Ci facciamo sempre tante domande, ma alla fine la risposta è sempre e solo una: etica.
Claudia Clerici
Sono completamente d’accordo con voi!
Grazie di condividere questo nostro pensiero! C’è bisogno di fare squadra per contrastare la deriva etica della nostra professione!
Per fortuna ci siete (anche) voi che fate formazione di qualità!
Ma soprattutto grazie a chi la segue!